giovedì 25 dicembre 2008

Israele e Palestina: appunti di un pregiudicante

Un post natalizio che si rispetti fa correre la mente verso Gesù Bambino e la grotta di Betlemme: io sono molto più egoista

Ad un giorno dalla mia partenza per Israele e i Territori Occupati mi sottopongo come cavia per un mini-esperimento. Non sono in pochi ad essere tornati cambiati - o comunque piuttosto colpiti - da una visita in Israele e Palestina: si tratta quasi di un luogo comune dire che ci sono in quei posti "cose e persone che riempiono l'anima" (Luisa Morgantini).
Esclusa l'esperienza spirituale, cosa capiterà al mio inflessibile razionalismo realista Occidentale? Vedrò cose e persone che cambieranno il mio modo di guardare e prendere posizione sul conflitto israelo-palestinese? Il mio spirito dalemiano già trema nel profondo: si annida il germe dell'umanità contro la realpolitik.

Per cercare di misurare la portata dell'eventuale cambiamento, dedico questo post ad un paio di appunti pregiudicanti, la mia visione pre-partenza frutto di un'informazione da lontano pari a quella di tutti noi.

1_ E' possibile essere critici nei confronti della politica Israeliana senza tracimare nell'anti-semitismo? Per quanto mi riguarda, sì. Per quanto riguarda tanti altri, non ne sarei così sicuro. Lo Stato di Israele è la storia dell'incredibile successo del progetto politico del movimento sionista: un'entità mono-religiosa e mono-culturale, dunque crudamente esclusiva verso i non-ebrei. Quando si critica Israele il coinvolgimento di quella concezione di ebraismo avviene in modo intrinseco ed in questo senso è una critica centrata: il progetto sionista è aggressivamente colonialista e ciecamente auto-referenziale. Ciò detto, non rispecchia la complessità enorme dell'universo cosmopolita ebraico e soprattutto non può avere come risultato la negazione della legittimità per il popolo ebraico di aspirare ad avere una propria terra - esattamente come lo si ritiene giusto per esempio verso i Curdi.

Ho la fondata impressione che dietro alle dure condanne della sinistra più radicale verso Israele ci sia una buona dose di pregiudizio antisemita, in ossequio al vecchio stereotipo ebreo-capitalista senza scrupoli, strozzino. Mi sbaglio?

2_ La dottrina Bush è riuscita a portare fino in fondo la logica del divide et impera nei confronti dei Palestinesi: da una parte Hamas supportata dal consenso popolare, dall'altra la nebulosa tecnocrate Fatah tenuta in piedi dal consenso internazionale. Gaza e la West Bank sono sempre più separate tra loro nelle condizioni materiali: è evidente che finché queste divisioni vengono costantemente alimentate dalla comunità internazionale la prospettiva di uno Stato palestinese è lontana anni luce dalla realtà. Che a qualcuno vada bene così? Ma soprattutto, come fanno i Palestinesi a non rendersi conto che abboccano come tordi alla trappola? Esistono i presupposti di uno Stato per un popolo che non ne ha mai avuto uno?

Per evitare di aggiungere la mia pesantezza al panettone che alberga nei vostri stomaci mi fermo qui: un libro non basterebbe a raccogliere le domande che naturalmente si affacciano quando si pensa da lontano ad Israele. Probabilmente non basteranno né questo blog né la vostra pazienza per sentire i miei racconti al ritorno. Non temete: il supplizio vi sarà lo stesso inflitto!

Buone feste a tutta la Banana Blu!

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sei vivo?